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domenica 29 gennaio 2012

MI ABBRACCIO ALLA VITA




Poesia ispirata alla foto di Paolo Scarano

 
Chinata su di me e sul mondo
si ferma in impalpabile dolore
il tuo ricordo che mi guarda.
Solo di ombre vestirò il mio inverno
e con la mente mi porto altrove
oltre il brusio di questa vita affollata di silenzio.
Poi ascolto il mio respiro
per accorgermi di esistere ancora.
E ancora senza te
la vita tornerà a parlarmi.

sabato 21 gennaio 2012

RICORDAMI



Poesia ispirata alla foto di Paolo Scarano  

 Mi fermo,
sola,
nel punto in cui camminammo insieme,
nel luogo in cui mi torni ricordo
e tra le immagini sfilo solo un tuo sorriso.
Ti guardo alzando al cielo
gli occhi del mio cuore
perché non dimentichi che dalla tua bocca
ha bevuto amore,
che dalle stesse labbra ha chiamato a se le emozioni.
Ascoltale nella brezza del tempo che non torna
e se puoi, ricordami.

venerdì 13 gennaio 2012

LE CAREZZE CHE VORREI



Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente 

  
Oggi ho piegato i miei silenzi,
ho stirato le emozioni
e le ho riposte nell’armadio della mia anima
in attesa della nuova stagione
o di una rinnovata luce da abitare.
Camminano lenti i passi del tempo,
si fermano dentro un sorriso,
si arrestano al suono di una voce,
sobbalzano nel ticchettio di un pensiero
sgusciato via dalla mente,
chissà come e chissà quando.
E mi disegno mani sulla pelle,
quelle mani che non ho più su di me.
Poi scrivo da sola
le carezze che vorrei
e che non ho.

L'ULTIMA POSA




Poesia ispirata alla foto di Mukti Echwantono
http://illdispose.tumblr.com/

 Mi siedo sui gradini della vita
dopo aver danzato
scrivendo i passi di oggi su quelli di ieri,
volteggiando nel silenzio
di chi mi guarda librarmi nell’aria
a baciare il vento.
Ma non sanno del rumore atroce
trascinato da parole trattenute
per paura di un sogno libero.
Così, come cigno bianco
danzo il mio amore in scadenza
e poi mi spengo come sigaretta
su questo gelido gradino.
Sarà per me la luce dei tuoi occhi
l’ultimo riflettore sul mio palcoscenico.

IL NATALE DEGLI ULTIMI



In questi giorni di festività natalizie, il mio pensiero va agli ultimi.
A chi è senza casa e dorme nei cartoni con il gelo ai margini di una società indifferente.
A chi è rimasto senza lavoro e non ha quella gioia dentro da dividere con gli altri.
A chi è malato e sa che ogni ora è solo un respiro in più regalato in attesa della fine.
A chi è solo, senza una famiglia, senza un affetto, una carezza, una compagnia e in questi giorni sente aumentare la propria tristezza.
A chi quest’anno ha perso persone care e quella sedia rimasta vuota è ancora fonte di sofferenza.
A chi non ha più sogni da coltivare perché la vita glieli ha strappati con furore.
A chi si chiude nel buio di un’esistenza che gli ha tolto più che dare e non ha mai avuto la forza di ricominciare.
Se ogni briciola delle nostre tavole imbandite fosse un gesto concreto rivolto a tutti loro, forse avremmo un sorriso in più da portare nel nostro e nel loro cuore per sempre.
Che non sia proprio questa la felicità?

A PENSARMI TUA



Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente 



Tra le strade del mio vagar
mi fermo lì,
dove l’incrocio dell’attesa
aveva il tuo sguardo
e la rincorsa del mio abbraccio.
E ancora qui attendo
i tuoi passi furtivi,
i tuoi pensieri di vento
lasciati scorrere come fiume di inchiostro
sugli argini delle nostre vite.
E tu non sai
che ho nei battiti del cuore la tua vita
mentre ti sento arrivare da lontano
e corrermi di nuovo incontro.
Di nuovo tu
a pensarmi tua.

PIOVE GOVERNO LADRO



Quel giorno Alfonso proprio non ce la faceva più. Era stata una settimana massacrante cominciata malissimo e finita peggio. Rifletteva sulle tante cose accadute, su come sarebbe cambiata la sua vita, su quali decisioni prendere.
Nonostante la pioggia copiosa che non aveva smesso un attimo di abbattersi con violenza sulla città, decise prima di tornare a casa di fare un salto dal suo amico edicolante Remo.
Lui si che con il suo modo scanzonato di prendere la vita lo faceva spesso sentire meglio, fermarsi lì prima di rientrare a casa si rivelava spesso una tappa dal valore terapeutico e poi gli era sempre piaciuto l’odore inconfondibile dei giornali, della carta stampata.
Quando arrivò all’edicola si scrollò l’acqua dall’impermeabile e tentò con fatica di chiudere l’ombrello combattendo contro una folata di vento che stava strappandoglielo dalle mani. Per un attimo pensò che anche quello fosse un segno del destino.
- Caspita – sospirò.
Remo lo guardò di sottecchi mentre era intento a sistemare una pila di riviste fotografiche professionali.
- Che voi ‘ncorpà er governo puro de questo? Vabbè che er detto è PIOVE GOVERNO LADRO ma nun esaggeramo mò – disse sornione.
- Nun principià puro tu ch’oggi nun è giornata. Te ricordo che so’ stato messo ‘n cassa ‘ntegrazzione amico mio e nun è ‘na gran bella cosa. Nun ce dormo ‘a notte… ‘tacci loro…
- E no, mo nun ricomincià tu. Ma che ciò da fà pe’ fatte capì che ‘a vita è bella. Che te devi da gòde ogni istante che er buon Dio cià dato, perché aricordete che oggi ce stai e domani nun ce stai.
Alfonso guardò con aria truce il suo amico che si esprimeva sempre in tono colorito da buon romanaccio del più antico quartiere della capitale.
- Aò. Potevi puro di’ oggi ce semo e domani nun ce semo.
- E che te cambia. Nun è lo stesso?
- Nun è lo stesso no. Ner primo caso chi schiatta so’ io, ner seconno caso morimo tutti no?
- Ah, quanto l’allunghi! Arfò, sai che diceva sempre la bonanima de mi zia? Diceva che sortanto chi riesce a vede ‘n raggio de zole ne ‘na ggiornata de pioggia po’ campà cent’anni.
- E ‘ndò sta ‘sto raggio de zole. No, saranno l’occhi mia ma io nun lo vedo.
- Finiscela de frignà. Er raggio de zole sta drento de te. Nun è fora che poi trovà ‘a serenità ma tra le budella tue. E poi senti Arfò, tu poi piagne, strappatte quelli quattro peli che ciai sulla capoccia, nun dormì de notte ma arisolvi quarche cosa? Cent'anni de pianti, nun pagheno ‘n sordo de debbiti.
E allora … goditela sta vita, guarda er lato positivo, nun vai più ar travajo .. te pare poco? E pure ‘n po’ guadambi sempre no? Ma ce lo sai che Giggi ha dovuto chiude l’attività? C’è crisi pe’ tutti a ‘sto giro. Si te guardi ‘ntorno te n’accorgi. Daje retta ar Sor Remo.
Intanto lampi e tuoni contribuivano ad alimentare un clima di rassegnazione, preoccupazione e tensione che erano diventate compagne di vita per Alfonso, in barba ai consigli e detti popolari profusi in nome di un ottimismo che non gli era mai appartenuto.
- Arfò – tornò alla carica Remo – sai come diceva quer poeta famoso… mmm… nun me ricordo er nome mannaggia a me.
- Mbè? Sentimio pure questa va.
- Diceva che devi tirà fora ‘a creatura che ciai drento.
- Ma che stai a di’. Che mo ciò ‘na creatura ne la panza, ce manca sortanto che me tocca da partorì.
- Certo che sei proprio ‘gnorante. Vabbè, nun me ricordo chi fusse, de certo era ‘n tizio famoso è, mica ‘n poeta da du’ breccole. ‘Na cosa tipo Leopardo o Fuscolo nun me ricordo, ma diceva ch’abbisogna da tirà fora er pupone che ce sta drento.
- E si. Mò partorisco Totti va.
Remo si lasciò andare ad una sonora e coinvolgente risata.
- A Remo, nun pe’ sottolineà ‘a tua de ‘gnoranza ma forse te volevi dì er fanciullino che è in noi? E magari po’ esse che ‘sta cosa l’abbia detta ‘n certo Pascoli?
- Bravo Arfò. Era proprio così. Vabbè mò chi l’ha detta l’ha detta, a noi che ce frega scusa. Sempre ‘n poeta famoso è no? E poi è er contenuto quello che conta.
- Si si certo.
- A te sai che te frega nella vita? Te frega che sei… come di’… tattile.
- Eh? Tattile? Che robba è mo ‘sto tattile?
- Ner zenzo che nun vai ner profonno, te fermi a la materia de le cose ecco.
- A Remo, sempre pe’ nun sottolineà ‘a tua de ‘gnoranza, ma nun è che forse volevi da di’ superficiale?
- Bravo Arfò. Sei ‘n genio. Nun te ce facevo così corto.. ner zenzo che ciai ‘na curtura. Peccato ‘sto pessimismo cosmico che te porti appeso come ‘na zavora.
- Eh vabbè che devo da fa’. Chi nasce tonno nun po’ morì quadrato.
Poi improvvisamente ci fu silenzio in quell’edicola che aveva accolto le confessioni e i consigli un po’ tragicomici dei due amici. Silenzio. Solo silenzio inframmezzato dai lampi e dai tuoni, dalla pioggia scrosciante.
Così Alfonso decise di incamminarsi verso casa.
- Vabbè Remo, io me la cojo. Come disse Rossella O'Hara, domani è 'n antro ggiorno.
- E mò chi è ‘sta Rossella Omara?
- Lassa perde va.
- E no, mò me lo dichi. Nun dev'esse della zona perché so’ quarant'anni che ciò l'edicola a Trastevere e ‘sta tizzia nun l'ho manco sentita nominà.
- Remo tranquillo, è de n'antra zona ma diceva proppio come t’ho detto.
- Ah però a da esse saggia sta tizzia, la penza come me. Ce devi da presentà quarche vorta.
- Si si, ve presento come no. Adesso sai che faccio Remo? Vado a casa mia, vedo de tirà fora da me ‘sto raggio de zole, er pupetto che me porto drento e magara ‘o faccio pure abbronzà.
Remo lo guardò aprire l'ombrello prima di lanciarsi nella pioggia scrosciante e gli gridò:
- Me raccomanno però, abbonda con la protezione totale sennò ‘sto pupetto ce se pija 'n insolazzione!

MI ARRENDO AL TEMPO


Poesia ispirata alla foto di Mukti Echwantono
http://illdispose.tumblr.com/

In questo luogo senza tempo,
scordato dai ricordi di coloro
che tale spazio lo hanno vissuto
e poi abbandonato,
mi lascio andare anch’io.
Come oggetto dimenticato da chi
ebbe urgenza di fuggire,
forse dagli altri o forse da se stesso.
Mi accascio su di me
in un vuoto che fa male alla memoria
mentre annaspano i ricordi
nella nebbia di te
che si compone in briciole
di un domani da rifare.
Ma non alzo gli occhi al cielo.
Respiro ancora polvere di vuoto
e di assenze in echi di voci che non sento
e che al mio silenzio lasciano parole.
Non le raccoglierò da terra.
Saranno frasi da riassemblare  in altro tempo
che ancora non è mio.

IL PESO DELL'ANIMA




Poesia ispirata alla foto di Paolo Scarano
 

Guardo il mio volto
che con occhi di pioggia si specchia alla vita
e mi lancia riflessi che io non conosco.
Mi fermo a osservare una parte di me
distante, assente, sospesa nel buio
di questo giorno che muore,
tramonto costante di tutti i miei giorni
e l’alba svanisce
la perdo, la inseguo,
con me si dissolve nel peso dell’anima.
Poi in questo cuore mi chiudo
aspettando il mio sole,
mi tocco il respiro
porto altrove la voce
e taccio.

MA POI?



Poesia ispirata alla foto di Alberto Borgonovo 


Ma poi.
Poi,
dove finisce il male che mi hai fatto
e quel buio che hai disegnato dentro me?
Dove si nasconderanno tutte le parole
che mi hai lanciato contro
come lame acuminate di un amore finto
e falso come te?
Poi,
poi quanto tempo ci vorrà
perché la luce del sole torni ad illuminare
quel vuoto freddo e metallico
che mi fa tremare con brividi di vuoto?
Lo cercherò dove posso il caldo di un sole
che ancora non so vedere
ma che mi darà tepore
e attimi di speranza.
Ma poi,
poi,
sparisci dal mio mondo
affinché io possa riprendermi la vita.

LA LEGGEREZZA DELLA SOLIDARIETA'



Nel silenzio, nel torpore di un giorno che non voleva saperne di volgere al termine, si avvicinò timidamente alla finestra.
Con un gesto lento, di una lentezza esatta, scostò le candide tende che la proteggevano dal mondo circostante.
Ciò che vide non le piacque.
Nulla che potesse scuoterla veramente, nessuna scena traboccante di qualche forma di drammaticità. Tutto apparentemente era normale.
Gente che camminava frettolosamente incurante di cose e persone, il solito traffico, il suono di un clacson, la sirena di un’ambulanza, i ragazzi del mercato che incitavano ad acquistare a prezzi esigui la loro mercanzia.
Eppure, eppure in quella apparente tranquillità c’era qualcosa che non andava.
Non se ne rese conto subito ma c’era come una stonatura appena percettibile in un concerto che, per orecchie esperte, sarebbe diventato elemento di disturbo sufficiente a falsare l’intera opera.
Riguardò attentamente la scena e le persone che erano sulla strada. Voleva individuare ciò che la disturbava fino a crearle una pacata inquietudine interiore.
Poi, all’improvviso comprese.
Di tutta quella gente nessuno sguardo incrociava quello di qualcun’altro.
Nessuno si guardava pur sfiorandosi vicino al mercato.
Le sembravano tante marionette, manichini tolti dalle vetrine e messi lì per caso.
Osservò ancora un po’. La situazione non migliorò.
Era l’indifferenza a turbarla.
Era quella consapevolezza che tutto sarebbe potuto accadere senza che nessuno se ne accorgesse o peggio, senza che nessuno intervenisse.
Stare in mezzo alla folla completamente isolati.
Un mondo che non avrebbe scelto se solo glielo avessero permesso.
Mentre stava per chiudere le tende, vide in fondo alla strada un uomo che a poco a poco, appoggiato alle mura di un palazzo, chiuse gli occhi e si lasciò scivolare su se stesso.
Il cuore le saltò in gola, aprì la finestra e gridò ma nessuno la sentì e nessuno sembrava essersi accorto di quell’anziano che poteva essere suo padre.
Aprì la porta e scese le scale macinando i gradini due a due mentre chiamava i soccorsi, arrivò accanto a quel signore e cominciò a chiedere aiuto. Solo allora qualcuno si fermò per poi proseguire.
Si formò un capannello di gente mossa solo dalla curiosità.
Sentì che l’uomo respirava ancora. Si sedette accanto a lui e per un attimo cancellò i volti delle persone che le stavano di fronte.
Ecco, ora per lei non esistevano più. Erano i manichini che aveva osservato dalla finestra.
Prese il polso dell’uomo, il battito era flebile. Gli chiese se poteva ascoltarlo e lui fece cenno di si con la testa. Stava per dire qualcosa, non si capiva cosa.
Fece segno di guardare nella tasca della giacca perché aveva una medicina.
Allora lei non si perse d’animo, mise le mani in tasca e trovò un scatola di compresse. Gli chiese se aveva bisogno di una di quelle per stare bene.
Intanto da un vicino negozio portarono un bicchiere di acqua.
Il respiro si faceva sempre più affannoso, richiamò i soccorsi, stavano arrivando.
L’uomo le strinse la mano con una forza di cui si sorprese.
Le fece capire che doveva prendere quel farmaco per stare meglio.
Dio! Perché non arrivava l’ambulanza. Prese il bicchiere d’acqua, estrasse una compressa e la diede all’uomo che la mandò giù come una salvezza.
Poi chiuse gli occhi e a poco a poco cominciò a respirare più facilmente.
Si voltò verso di lei, le strinse la mano e le sorrise.
Elena si accorse di sentirsi stremata e di avere gli occhi lucidi.
Il signore le si avvicinò e con un filo di voce disse:- Mi chiamo Mario.
- Io invece mi chiamo Elena. Ci ha fatto prendere un bello spavento ma tra poco arriva l’ambulanza.
Mario non rispose, apriva e chiudeva gli occhi cercando di dare un ritmo regolare al proprio respiro.
Poi si voltò di nuovo verso di lei senza lasciarle la mano.
- Grazie Elena, mi hai salvato la vita. Avrei tanto desiderato avere una figlia come te.
Elena non riuscì più a trattenere le lacrime.
Sentì il suono della sirena che si fermò davanti a loro, vide negli occhi dell’anziano un timore, una sorta di paura, sentì la percezione fredda della solitudine. Sapeva già cosa lo aspettava.
Il personale dell’ambulanza lo mise su un lettino, chiesero cosa era successo. Elena spiegò tutto mentre continuava a sentire la mano dell’uomo che non lasciava la sua, le unghie conficcate nella sua pelle.
La ragazza si avviò con lui verso l’ambulanza.
Un tizio in modo burbero le disse che non poteva salire.
Allora lei guardò Mario, avevano entrambi gli occhi lucidi.
Le stava chiedendo di non abbandonarlo.
Elena, con fare risoluto disse:
- Io salgo. Sono la figlia.
Poi lo guardò nuovamente. Ormai le lacrime sgorgavano senza sosta sul volto dell’uomo. Per la prima volta pensò che quel viaggio a sirene spiegate verso l’ospedale, sarebbe stato il più bel viaggio che aveva mai fatto in vita sua.
Ancora mano nella mano, come se davvero li unisse un amore filiale, si guardarono e si sorrisero.
Elena non lo abbandonò finché non venne dimesso.
Da allora andò a trovarlo tutti i pomeriggi e cominciò a chiamarlo papà, per quella figlia che non ebbe mai ma che incontrò per caso in un giorno diverso da tutti quelli della sua vita.

ATTENDERO' DELLA MIA VITA IL VOLO


 
Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente 
  

 Con spighe di grano ho pettinato sogni da inventare
che in tanti anni ho steso al vento del destino.
Li ho visti fluttuare nei miei paesaggi,
luoghi di cui mi resta un silenzio di emozioni
da scrivere su un foglio bianco di parole.
Li vedo ancora oscillare
alla brezza di improvvisi sentimenti
che si sciolgono in vortici di batticuori.
Rimane il tuo viso nei miei occhi
e un profumo che sa di vita e amore.
Rimani tu
in questo mondo ancora tutto da inventare
mentre mi guarda con un sorriso il cielo.
Dietro una nuvola si nasconde il mio destino
 ma attenderò della mia vita il volo.

LE LACERAZIONI DI UNA VIOLENZA

Racconto ispirato alle foto di Paolo Scarano 
  

Le foto di Paolo vogliono raccontare la violenza alle donne. Lui lo ha fatto con le foto, io con le parole. Dedicato a tutte le donne che hanno subito violenza.



Camminava velocemente per raggiungere la stazione, era in ritardo per il lavoro. Sempre di corsa. Avrebbe dovuto imparare a prendersi maggiore cura di se stessa e dedicarsi più tempo, quella vita frenetica le stava togliendo energie, il piacere di godersi un giorno di pieno relax, di stare con gli amici, di coltivare i suoi tanti interessi. Decise che dal giorno dopo tutto sarebbe cambiato.
All’improvviso sentì un rumore dietro di lei, rallentò con il cuore in gola, si girò ma non vide nessuno. Un lampione oscillante sembrava intento a giocare con la luce che faceva danzare da una parte all’altra della piccola stradina isolata.
Affrettò il passo, la stazione era a poche centinaia di metri.
Fu un attimo, si sentì afferrare da dietro, mano sulla bocca e la lama appuntita di un coltello che le luccicò davanti agli occhi.
Si divincolò, cercò di gridare, di chiedere aiuto. Nulla.
Si sentì trascinare verso il bordo della stradina che dava sulla sterpaglia di un immenso campo abbandonato e abitato dai fantasmi della città, gente senza dimora e senza una vita, persone senz’anima.
Venne scaraventata a terra mentre quell’uomo le fu addosso all’improvviso portando con se l’odore acre del sudore e dell’alcool, le strappò i vestiti ma prima la stordì con schiaffi e pugni.
Sentì il sangue colarle dalla bocca e dal naso, fortunatamente riuscì ad urlare mentre il fischio del treno in arrivo copriva la sua voce.
Capì che non c’era nulla da fare, che nessuno l’avrebbe sentita e nessuno sarebbe venuto in suo soccorso.
Gridò fino alla fine per il dolore, per il senso di impotenza, per la rabbia, per la consapevolezza che da quel momento, se quell’uomo non l’avesse ammazzata, la sua vita non sarebbe più stata degna di essere definita tale.
Si sentì violata in ogni angolo del suo corpo e della sua mente.
Si chiese come faceva il mondo ad andare avanti mentre a lei stava accadendo questo, mentre qualcuno le strappava vestiti, sogni e futuro.
Poi quell’uomo si alzò. Lo vide a stento barcollare e allontanarsi per poi crollare a terra.
Ebbe appena la lucidità di ricomporsi e scappare verso la stazione per chiedere aiuto.
Ciò che successe dopo non lo ricordò subito. Le dissero che svenne, aveva vaghi ricordi di ospedali e polizia, domande su domande mentre lei voleva solo dimenticare, cancellare, scordare.
Ed era strano di come potesse sentirsi così colpevole.
Aveva continui sensi di colpa, si chiedeva se per caso la gonna che indossava non fosse troppo corta nonostante il cappotto, se avesse fatto qualcosa per attirare l’attenzione di quell’uomo, si chiedeva il perché proprio quel giorno aveva deciso di prendere quella stradina che non prendeva mai dato che lei stessa la considerava troppo buia e pericolosa.
Tante domande senza risposta.
Da quel giorno non fu più giorno per lei.
Da quel giorno il tempo si fermò, orologi senza lancette nella sua vita.
Continuava a nausearla l’odore di sudore e di alcool, si sentiva sporca e le tante docce che faceva non l’aiutavano a toglierle di dosso quel senso di impurità.
Fanno male le ferite che non si vedono, le cicatrici interiori, i tagli dell’anima.
Nessuna sutura sarà mai in grado di chiudere certe lacerazioni.
Rimaneva rannicchiata nella sua stanza, gambe abbracciate e lacrime che sgorgavano senza sosta.
La sua vita, lo sapeva, era finita. Finita per sempre.
Non aveva più voglia di fare nulla, abbandonata a se stessa si lasciò andare ad un torpore che era difesa dal mondo esterno.
La notte, quelle poche notti in cui riusciva a prendere sonno, si svegliava gridando, madida di sudore. Erano incubi che proiettavano come un film nella sua mente, le scene vissute.
Quanto immenso dolore da trascinarsi dietro per il resto della vita!
Persino il rumore proveniente dalla strada la infastidiva, le ricordava la vita che gli altri ancora avevano e che a lei era stata strappata.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto rimettersi in sesto e ritornare al mondo perché il mondo aveva bisogno di lei e lei aveva bisogno almeno di sopravvivere.
No. Non ambiva a ritornare alla vita.
Ancora sgorgava sangue dalle sue ferite, ancora c’erano lividi nel suo cuore e ancora, ancora c’era quell’odore di sudore e alcool a ricordarle l’accaduto.
Così aspettò e nell’attesa passò altro tempo.
Quando si sentì pronta per tornare alla vita era un giorno come tanti ma da quel giorno non fu mai più giorno per lei.

SCUCIRO' I MIEI SOGNI


Poesia ispirata alla foto di Fabio Fontana 

Destino già scritto
su fogli che non mi è dato leggere,
smerigliati da sbalzi di ricordi,
alitati su bocche in affanno
di amori ciechi
e muti sussurri.
Supplico il sole di baciare
le parole rimaste in ombra
a nascondere il riflesso dell’anima.
E’ riverbero di sentimenti
che arrivano ugualmente fino al cuore
con o senza la tua voce sigillata a me.
Scucirò i miei sogni
che fino alle stelle voleranno
affinché ti basti alzare lo sguardo
per scorrere le immagini che ti sei negato.

CORSA DI VITA



Poesia ispirata alla foto di Marco Maria D’Ottavi


E stavolta correrò
incontro al mio destino,
mi colorerò di tutti i sogni trattenuti
e quei silenzi di parole mai spedite.
Sento nei battiti del cuore la mia vita
mentre abbraccio del mondo i suoi colori
regalando al vento petali di me.
Nulla mi può più ferire
ora che non ho timore della vita
né del contorno scuro della notte.
So accendere le stelle una ad una
e se solo saprai vederle brillare dentro me
avrà altro senso la mia corsa.

NEL VENTO



Poesia ispirata alla foto di Stefano Tommasi 


Ricordo la voce del tuo pensarmi
quando mi lasciavo danzare dal vento,
quando mi accarezzavano rose senza spine
profumando della loro essenza i miei pensieri.
Avevo occhi chiusi
a imprigionare il sogno del nostro amarci
tra la melodia dei tuoi baci nel mio respiro
e di quei sospiri persi sulla strada del ritorno.
Ricordo di tutto questo
la voce del tuo pensarmi
mentre mi lascio danzare dal vento
e nel vento libero un bacio che sa di te.

CATENE DI PLASTICA


Poesia ispirata alla foto di Romina Dughero


E sono maschera a coprirmi dal mondo
che tu hai spento per me
nel buio di bugie senza speranze
impigliate alle pareti della mia anima.
Non vedrai più i miei occhi, i segni della pelle
sulla quale la vita ha disegnato il mio destino.
Non saprai di me ciò che avresti potuto scoprire,
le verità che non hai saputo guardare,
i sentimenti che non hai voluto conoscere.
E sono maschera a coprirmi dal mondo
che tu hai spento per me
mentre mi innamoro degli amori degli amanti
in attesa che altre voci chiameranno il mio nome.
Solo allora mi spoglierò delle catene di plastica
con cui hai incartato il mio cuore
e di nuova luce mi vestirò.

IL PROFUMO DEI RICORDI




Poesia ispirata alla foto di Margherita Vitagliano 
  

 Tremano le mani di ricordi
mentre quel nodo in gola si scioglie
slegando tracce di memorie appese al vento.
Davanti a me solo immagini sbiadite
dagli anni e dalle lacrime,
storie conservate in diari di altri tempi
e in altri tempi perse.
Hanno un profumo i ricordi di bambina,
sanno di pane e amore,
di abbracci e baci,
di tenerezze mai più provate.
Ed è così che raccolgo la mia vita,
pensiero dopo pensiero
parola dopo parola.
Ne faccio un film
che come fiume scorre nella mia mente spenta.
E già conosco i titoli di coda
mentre la musica si fa più lenta
come il mio cuore arreso.

E PENSO DI PENSARTI



Poesia ispirata alla foto di Rosita Delfino 

Porgo gli occhi al cielo
lì, dove si incontrano le stelle
e soffici si baciano le nuvole.
Penso di pensarti ancora una volta
cercando le parole
in cui hai nascosto la tua voce.
Poi, prima che la notte si dimentichi di me
penso di parlarti una volta ancora
perché non siano rimpianti le frasi
che al vento non ho lasciato andare.

SPINE DI VITA


Poesia ispirata alla foto di Roberta Nozza 


 Il male che mi hai fatto
è il male che non sai,
dolore che non vedi
lasciato al suo abbandono.
Mi volto indietro solo per un attimo
ed è pioggia il mio destino,
lame taglienti le tue parole
incartate in boccioli di spine.
Io sola vedo e tu non sai
del lento sanguinare di ferite,
dei rovi aggrovigliati alla mia anima,
di pelle strappata come fogli lasciati in bianco
perché vuoto è il cuore.
Dei sogni chiusi alle mie notti
tu non sai.
E di quante volte
ho prestato gli occhi al cielo
dicendomi domani.
Forse domani ritornerò a me.

LASCIAMI SOGNARE


 
Foto presa dal web


Lasciami sognare ancora un poco,
solo quel tanto che mi serve
per vedere il mondo capovolto.
E inciampare tra le nuvole,
correre su un cielo terso,
saltare tra le stelle,
schivare i lampi,
allontanare i tuoni.
Lasciami sognare ancora un poco,
solo quel tanto che mi serve
per vedermi in un mondo nuovo.
Poi raggiungimi ovunque io sia
e ovunque sarai ti aspetterò.

SINFONIA DI VITA


Foto di Adolfo Valente


 E poi,
quando il sole si scioglie nel tramonto
e si tuffa nel mio mare
attendo che si trasformi in vento il mio respiro.
Sbadiglia un ricordo in angoli di voci trattenute
scambiate per silenzi.
Ma è sinfonia di me,
note incise sulla pelle,
tatuate nel mio cuore in concerti dai sipari chiusi.
Nessun biglietto da pagare
e rosse poltrone vellutate
vuote come lo sono io.
Poi
un giorno in cui il sole si sciolse nel tramonto
ho sorpreso te,
 nota sconosciuta di questo spartito
ad ascoltare la mia vita.

TASSELLI DI ME




Poesia ispirata alla foto di Daniele Porceddu 


Ho mille parole appese ad asciugare,
ricordi stesi in bianco e nero
cullati dal vento del destino
mentre piove di me il cielo.
E sono lacrime che raccolgo
con quelle stesse mani che scrissero la mia vita.
Ora che scendono gocce da ciglia e nuvole
voglio fermare l’attimo in cui mi sento viva
e ritornare a me.
Sarò attesa in cerca dei tasselli giusti
a riassemblare la mia anima ferita.
E tu vento
non farli volar via
ma riportali a me come foglie d’autunno
in cerca dei propri rami.
E sarò di nuovo albero a curar le mie radici.

VOLO DI TE


 Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente 


 Scompiglia i pensieri il vento di mare,
versa inchiostro di parole senza fiato
che trattengo per sempre in un respiro.
E scendo dall’orlo del tuo sguardo
che su di me si adagia
a catturare l’essenza di noi.
Ad occhi chiusi
spengo il mondo con le ciglia,
mi lascio avvolgere e travolgere
dal vento di emozioni
che hai soffiato sul mio cuore.
E volo di te.

IN ROSE DI DOMANDE




Poesia ispirata alla foto di De Benedictis Giovanna  


 Ho scritto parole senza voce
e senza fiato le ho pronunciate,
ho lanciato al vento domande vestite di rose
e dentro mi son scivolate risposte di petali.
E così mi respiro, tra follia e magia di vita
che non accenna a fermarsi
ma accanto mi cammina ascoltando il domani.
Mi investe il tuo sospiro
quando chiudo gli occhi al buio
e mi abbracciano i ricordi.
Lascia che il mio cuore palpiti di nuova vita
e se mai mi hai amata almeno una volta
lascia che ora io ami me.

SUSSURRO DI PIACERE



Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente


Mi vestirò
di trasparenti fantasie
e silenziosi segreti
che avranno di te l’odore
e di me il sussurro del piacere.
E tra gli spazi orfani di grida
si adagerà la corsa di un respiro
di cui ci sazieremo
nel tempo scritto in un istante
o nell’eternità.