Immagine presa dal web
Lo trovò davanti al portone
della sua casa.
Per un attimo il cuore si
fermò e d’impulso la mano andò al cellulare, per cercare eventualmente un
aiuto.
Eppure quell’uomo era stato
il suo amore, un uomo che aveva amato più della sua stessa vita e che poi era
diventato sempre più geloso, possessivo fino a sottrarle l’ossigeno di cui
aveva bisogno.
Da quando lo aveva lasciato
due mesi prima, continuava a non darle pace. Ogni occasione era buona per
indurla a pensare che lui era cambiato, che senza di lei non poteva vivere, che
avrebbe voluto una seconda occasione per dimostrarle la sua evoluzione. Che
forse potevano ricominciare come all’inizio.
I suoi no non lo avevano
fatto desistere da questa invadenza sempre più ossessiva.
Ora era lì.
Lucia si era fermata, in
bilico tra le sue emozioni. Lui ne approfittò per avvicinarsi.
- Lucia, senti io vorrei solo
parlarti. Che ne dici se ci vediamo stasera da qualche parte?
- Gianni è finita. Non
abbiamo bisogno di parlare e ora vai via o chiamo la polizia.
- Invece abbiamo bisogno di
chiarire. Ti prego. Ti chiedo solo un’ultima possibilità di confronto, poi
prometto che ti lascio stare. Te lo prometto.
Lucia era combattuta, se
davvero fosse bastato un chiarimento per porre fine a tutto sarebbe stato meraviglioso
ma una parte di lei non si fidava.
- Ti vengo a prendere io dai,
come ai vecchi tempi, magari andiamo a Nemi…
- Cosa? No, qui le regole le
detto io. Non mi vieni a prendere e ci vediamo in pieno centro, in un posto
affollato. Facciamo al Caffè Chic, via Condotti.
Vide il volto di lui
rabbuiarsi ma fu solo un attimo. Forse era suggestione, la sua emotività e la
sua ansia erano alle stelle.
Continuava a sentirsi in
pericolo.
Lui accettò luogo e orario in
un’accondiscendenza che aveva poco di spontaneo.
- Perché non mi hai chiamato
per dirmelo – chiese lei.
- Perché so che non ami le
mie chiamate. Allora a stasera.
Lucia aspettò che si
allontanasse prima di salire a casa.
Cominciò a percorrere a
lunghi passi il suo appartamento mentre fumava una sigaretta.
No. Non era tranquilla.
Neanche così. C’era qualcosa che non le tornava.
Perché era andato fin sotto
casa?
All’improvviso pensò che non
volesse lasciare tracce di una telefonata, era plausibile come eventuale alibi.
Poteva ancora non andare…
poteva ancora tirarsi indietro.
Ma decise di tentare.
Eppure l’ansia la stava
divorando. Chiamò la sua migliore amica, le raccontò tutto, le disse l’ora e il
posto dell’appuntamento e sorvolò sui suoi consigli a non rischiare e a
sporgere nuovamente una denuncia. Ma Lucia era determinata, chiese alla sua
amica di chiamarla dopo circa 30 minuti dall’ora fissata per l’appuntamento e
se non avesse avuto sue notizie di chiamare la polizia.
Poi andò dalle forze
dell’ordine.
Il Commissario la riconobbe e
in modo bonario le chiese cosa ci facesse a quell’ora della sera.
Lucia raccontò e raccontò
mentre le mani tremanti le impedirono di nascondere la sua preoccupazione.
- Signorina – disse il
Commissario – lei sta dicendo che vuole andare all’appuntamento ugualmente?
- Si.
- Non ho pattuglie per farla
seguire ma facciamo così, memorizzi sul suo cellulare questo numero, fa capo
sempre alla Polizia ma stanotte ci sono io, rispondo io immediatamente. Anzi
facciamo così… lei cerchi di non allontanarsi dalla folla anche se questo non
aiuta sa? Mi dia il suo cellulare. Non potrei ma se serve a salvare qualcuno…
- Cosa intende? – chiese la
donna con curiosità.
- Mi dia il suo cellulare –
sentenziò il Commissario.
Lucia glielo porse con fare
remissivo.
Lo vide mentre prendeva
qualcosa da un cassetto, un oggetto piccolissimo, lo vide aprire il vano
batteria e posizionare questo oggetto. Poi lo richiuse e glielo diede.
- Si tratta di un piccolo
localizzatore, così saprò sempre dove sta. Ah potessi fare di più mi creda lo
farei…
Lucia sorrise e aveva quasi
le lacrime agli occhi. Ringraziò e corse via. No. Forse sarebbe più esatto dire
che scappò.
Via Condotti la sera era
sempre un intrico di luci, voci, profumi, gruppi festosi e urlanti per qualche
birra di troppo. Lo vide davanti al famoso Caffè.
- Entriamo? – disse lei.
Scorse ancora una volta il
disappunto sul suo volto, come se le sue richieste stessero mandando all’aria
tutti i suoi piani.
Si sedettero ad un tavolo,
civilmente parlarono. Ad un osservatore poco attento potevano sembrare una
coppia di amici o di innamorati intenti in una tranquilla conversazione ma la
tensione era palpabile. Gli occhi, i gesti, la rigidità nei movimenti, la
distanza fisica che c’era tra i due pur seduti su un comodo divanetto
raccontavano altro.
Poco dopo il suo cellulare
suonò. Era la sua amica. Lei rispose, lui sbuffò.
- Si cara certo, sono qui al
Caffè Chic con Gianni… ma certo tutto bene. Buona serata cara.
Vide Gianni visibilmente
irritato. Forse troppe cose stavano andando male, troppi imprevisti stavano
scombussolando i suoi piani…
Lui la invitò ad uscire per
una passeggiata. La donna restò un attimo in attesa di capire cosa fosse meglio
fare quando vide la sua mano armeggiare nella tasca.
Improvvisamente un’energia
che non credeva di avere si impossessò di lei.
Gli disse che si, sarebbe
stato meglio uscire. Nel mettersi la giacca prese il suo cellulare, premette il
tasto 1, associato al numero della Polizia. Da ora tutto sarebbe stato udito e
registrato.
Tergiversò un poco poi
uscirono. Fecero due passi, ormai era notte. La gente non mancava ma si era
diradata. In fondo il giorno successivo era un normale giorno lavorativo.
La vita andava avanti. La
vita, pensò, va sempre avanti anche se per te si ferma.
Mentre camminavano per strada
lui la prese sottobraccio e la costrinse ad imboccare una piccola via laterale,
meno illuminata e meno frequentata.
Era fatta, pensò Lucia.
Mi ammazza, ora mi ammazza.
Sapeva che il Commissario era
in ascolto e cominciò a prendere tempo.
- Gianni ma che fai? Perché
abbiamo svoltato a Via Belsiana? E perché mi guardi con quegli occhi?
Lui continuava ad armeggiare
con qualcosa che aveva nella giacca.
- Io ti ho sempre amata
Lucia, sempre. Non posso vivere senza di te e se non ti posso avere io, non ti
avrà nessun altro.
Fu un attimo.
Sentì un colpo e un forte
bruciore alla spalla.
Nello stesso istante in cui
stava perdendo i sensi sentì delle urla e il suono di una voltante della
polizia. L’ultima cosa che vide furono le luci lampeggianti della Polizia e di
un’ambulanza.
Quando si svegliò in ospedale
il Commissario era lì davanti a lei e le sorrise.
- Sono viva?
- Pare di si, un colpo di
pistola di striscio alla spalla, nulla di grave. Il suo uomo invece…
Lucia lo interruppe.
- Non è il mio uomo, non lo è
mai stato per me. Nulla e nessuno possono appartenermi.
Il Commissario sorrise.
- Non per lei ma per uomini
come lui si. Lei era di sua proprietà. E come lui stesso le ha detto, se non
poteva essere sua non sarebbe stata di nessun altro. Appena arrivati stava
tentando di togliersi la vita a sua volta ma non ha fatto in tempo. Pagherà per
tutto ciò che ha fatto, glielo prometto sui miei figli.
Lucia io mi devo
complimentare con lei per il suo coraggio. Se non avesse fatto tutto questo forse
oggi avremmo avuto un’ulteriore vittima di amori finiti e non accettati.
Lucia sorrise. Non si sentiva
un’eroina. Guardò il Commissario con occhi lucidi di commozione.
- Commissario, le donne di
cui parla lei non sono vittime di amori finiti ma di amori malati. Amori che
sono sempre stati malati. Sempre.
Poi si voltò verso la
finestra, il sole illuminò il suo volto pallido e magro. Chiuse gli occhi come
per assorbire quel calore, quell’energia e ricominciare…
Si addormentò così, con un
sorriso appena accennato sulle labbra ed un futuro da inventare.
Dedicata a tutte le donne vittime di femminicidio.