Gli sorrise, ma di un sorriso spento, arreso,
rassegnato.
Agli angoli della bocca piccole rughe a solcare dolori
passati e mai dimenticati.
Sorrideva fingendo una serenità che non aveva, una
normalità che non le apparteneva, una vita come tante e proprio come tante, una
non vita.
Si guardarono senza parlare. Erano passati circa vent’anni
dal loro ultimo incontro, dalla fine della loro storia, da quella rottura che
evidentemente ebbe, con il tempo, ripercussioni diverse per entrambi. Non si cercarono
più, nessuno dei due volle sapere nulla dell’altro.
Curiosi i percorsi della mente e le scorciatoie che si
pensa di prendere al solo ed unico scopo di difendersi. E sempre è una difesa
da noi stessi.
E ora, che si trovarono l’uno di fronte all’altra,
come rimediare a quel silenzio voluto e cercato? Come fingere, come recitare,
come mentire senza mandare in tilt i grovigli dell’anima, senza far riemergere
emozioni insabbiate e rinnegate? Come fare ora a stare lì e gestire quel
terremoto interiore che in modo diverso, entrambi stavano provando?
Fu lui a rompere il silenzio:
- Ciao Alessandra, come stai?
Quella voce, la sua voce non l’aveva mai dimenticata.
Emozioni in subbuglio e nessun appiglio a cui sorreggersi.
- Bene grazie e tu?
- Tutto bene anche per me.
- Ottimo.
Quante cose mai dette, parole che aleggiavano
nell’aria e che forse neanche in quell’occasione sarebbero state pronunciate. E
quanto male possono fare i ricordi quando un abbandono non è stato mai
verbalizzato, spiegato, chiarito. Omicidi emozionali coperti con sabbia di
codardia.
- E come mai da queste parti? – chiese lei con un filo
di voce.
- Non so se hai saputo ma è morta mia madre e devo
mettere a posto la cappella di famiglia. Ma tu vivi ancora qui?
Non sapeva, lui, non sapeva cosa avrebbe voluto
sentirsi dire.
Non sapeva, lei, non sapeva cosa sarebbe stato meglio
dire, perché ogni informazione poteva essere ancora una volta motivo di fuga, o
di crollo, o esplosione di rabbia o forse peggio, ci poteva essere il tentativo
di un riavvicinamento per lei impensabile.
Perché imparò presto a non dare mai più una seconda
occasione a chi, in uno scontro fuoco, non ti finisce solo per sbaglio.
- No, io non vivo più qui da vent’anni ma come te ho
la casa di famiglia. Non torno mai in questo luogo. Almeno tento di evitarlo.
- Ti sei sposata poi?
Era una domanda che la irritò, era forse una curiosità
scontata ma come osava ora, chiederle se si era sposata? Dopo che lui, lui
stesso, aveva fatto crollare tutto, come un castello di sabbia con un’onda di
follia considerata da tutti incomprensibile.
Fuggì senza dire nulla il giorno prima del loro
matrimonio.
Un trauma che forse non aveva mai superato, una rabbia
che sentiva tornare a galla per quel gesto senza un’apparente ragione. Non un
biglietto, non una telefonata, non una spiegazione tramite un amico.
Gli sorrise ancora, ma di un sorriso spento, arreso,
rassegnato.
- No non mi sono sposata, poi. Sai dopo una delusione
come quella che tu sai è difficile ritrovare fiducia negli altri. Hai una vaga
idea di cosa sia successo? Della delusione, lo sgomento, il vestito da sposa
che mi fissava dall’armadio, la cerimonia annullata, il ristorante da pagare e
qui, in paese tutti a commiserarmi, come quella povera ragazza lasciata
sull’altare… No, non è stato facile ma sai, poi mi sono ripresa. Direi subito. Il giorno in cui ci dovevamo
sposare avevo deciso che sarebbe stato il giorno in cui la mia vita sarebbe
cambiata così, ho preso un treno per Milano, ho salutato mia madre e me ne sono
andata. In cerca di una nuova vita, un lavoro, nuove conoscenze.
Doveva essere un giorno da ricordare nel bene o nel
male e così fu.
A Milano ho subito conosciuto nuova gente, nuovi
amici, ho trovato un lavoro all’inizio come commessa in una libreria. Poi ho
conosciuto un uomo molto interessante e che mi amava davvero, di un amore
sincero, incondizionato.
Sono rimasta subito incinta, ho un figlio che è tutta
la mia vita.
Con quest’uomo abbiamo convissuto per circa 10 anni poi,
come tutte le storie, qualcosa non va o meglio, qualcosa non va più. E così,
civilmente, di comune accordo ci siamo lasciati pur rimanendo sempre in ottimi
rapporti. In fondo è pur sempre il padre di mio figlio e si adorano. Bello
vederli insieme a chiacchierare, raccontarsi, confidarsi.
Poi io ho fatto carriera, ora dirigo una casa editrice
e sono molto appagata. Ho trovato un compagno con il quale convivo da tre anni,
sempre a Milano.
Mauro ascoltò tutto e senza rendersene conto si
rabbuiò.
Lei continuò:
- E tu invece, cosa fai nella vita? Ambizioso come eri
sarai diventato un amministratore delegato di qualche multinazionale. Ti sei
sposato immagino. Hai dei figli?
Lui la guardò senza ritrovare più la donna che aveva
lasciato tanti anni prima.
Non sapeva da dove cominciare, quello che gli disse lo
ferì.
- Si, io mi sono sposato. Fu quello il motivo della
mia fuga, mi ero innamorato di un’altra donna o almeno così pensavo. Ma Ale,
io…
- Ti dispiacerebbe non chiamarmi Ale, è un diminutivo
che usavamo un tempo, dà il senso di un rapporto di complicità che non ha più
motivo di esistere. Chiamami Alessandra.
Silenzio. Ancora silenzio. Lui era in tilt, la sua
vita rispetto a quella di Alessandra,
sembrava un disastro e l’aveva sempre immaginata come un animale che si
stava ancora leccando le ferite, invece aveva subito cambiato vita. Non era da
lei ma forse aveva ragione, dopo certe delusioni, si reagisce come mai
penseremmo di fare.
E, alla luce dei fatti, aveva preso la decisione
migliore.
- Si Alessandra. Volevo dirti anche se ormai è troppo
tardi…
- Decisamente troppo tardi, ma ti ascolto.
- Ecco si, io, volevo dirti che Marta, la donna di cui
credevo di essere innamorato era incinta e fu questo il motivo per cui sono
fuggito.
Alessandra sbiancò ma approfittò del vento che venne
in suo soccorso, per voltare il viso e sistemarsi i capelli. Sentì che una
lacrima stava travalicando gli argini ma subito la ricacciò indietro.
Tornò a fissarlo.
- Ah questo fu il motivo? Beh cosa ci può essere di
più bello di un figlio? Quindi hai un figlio di circa vent’anni come il mio
Luca.
Mauro la guardò perplessa.
- Hai chiamato tuo figlio Luca? Era il nome che
avevamo scelto per il nostro primo figlio se fosse stato un maschio.
- Si, scelta azzardata visto l’odio che provavo per te
ma era il mio nome preferito ricordi? E poi era il nome di mio nonno, uno dei
motivi per cui lo scegliemmo quando ancora sognavamo una vita felice insieme.
- Già, si ricordo. Sai le cose non sono andate molto
bene, mia moglie dopo sette anni si è gravemente ammalata ed è morta ma prima
di questo, è stato necessario fare analisi su analisi. Persino mia figlia
Annalisa, accusava sintomi strani a livello neurologico. Ho passato anni
d’inferno e sai che ho scoperto?
Alessandra ascoltava con finta indifferenza.
- No cosa?
- Che Annalisa, che ora soffre di una grave malattia
genetica, non era mia figlia. Marta mi mise in gabbia facendomelo credere. E
ora io sono solo con una figlia (perché è ovvio che per me è mia figlia) da
accudire e una vita che sto cercando di recuperare senza riuscirci.
Mauro disse tutto d’un fiato, si era tolto un peso, si
sentiva forse più leggero, forse senza più speranze.
- Ti assicuro Alessandra che l’unica donna che ho
amato sei tu e in tutto questo tempo ho pensato a quanto ti avevo fatto
soffrire. Mi dispiace.
Alessandra non sapeva più come uscire da quella
situazione. Troppe informazioni assolutamente mai immaginate, notizie che
avrebbero potuto cambiare il corso delle cose. Perché, perché non dire tutto a
suo tempo?
Mauro continuò.
- Non nego che ho sperato che tu fossi libera e ho
fantasticato mille volte di rifarmi una vita con te. Solo averti accanto mi fa
star bene. Ma ho sbagliato tutto vero? E’ troppo tardi vero? Ah e non sono un
amministratore delegato di un’importante multinazionale, sono solo un
dipendente di una banca.
Ho rinunciato anche alla mia ambizione, alla carriera.
A quante cose ho rinunciato mio Dio!
Si fermò, mani nei capelli e lacrime a solcare il
volto, senza vergogna, senza filtri.
La donna lo osservò.
- Si Mauro, ogni scelta comporta una rinuncia. Ora è
troppo tardi per tutto.
Mi spiace che la tua vita non ti soddisfi e mi
dispiace per tua figlia.
Ma qui chiudiamo questa conversazione.
Immagino che non ci vedremo mai più. Quindi questo è
un addio. Cerca di stare bene e vedrai che forse qualcosa di positivo arriverà.
Te lo auguro.
Poi Alessandra si voltò e lentamente si avviò verso
casa.
Ogni passo una fitta al cuore.
Piangeva anche lei per tutte le menzogne che gli aveva
raccontato.
Dopo di lui non ci fu mai nessun uomo e Luca era suo
figlio. La lasciò ad un giorno dal matrimonio senza sapere che lei aspettava il
suo vero figlio, un figlio che crebbe da sola, in una città sconosciuta, in una
Milano fredda e grigia come lo era la sua anima.
Nessun uomo né prima né ora. Era sola e si sentiva
sola. L’unica verità era il suo traguardo nel lavoro, davvero dirigeva una casa
editrice. Fu necessario buttarsi sul lavoro per continuare a vivere.
Ora era troppo tardi.
Perché ci sono errori a cui non si può rimediare e
ferite che non si possono lenire, ci sono vite distrutte che non si possono
risanare.
Una fuga per non affrontare la realtà che si poteva
forse affrontare, chissà. Ma forse doveva andare così.
Un solo sbaglio con due esistenze distrutte.
Come sa essere crudele a volte la realtà!
E ora, che scorrano i titoli di coda, si disse tra sé
e sé, in questo film dai protagonisti assenti e una regia singhiozzante come fu
la sua vita. Senza colonna sonora, solo silenzi e parole tardive…
E allora che scorrano i titoli di coda.