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venerdì 28 dicembre 2012

IL BUIO DENTRO


Racconto ispirato alla foto di Adolfo Valente
La finestra di quella piccola soffitta di fortuna era piccola, angusta, limitata quasi quanto la sua vita.
Ottimo luogo per nascondersi e non farsi più trovare se non da se stessi.
Perché era questo ciò che le serviva in quel momento.
In fuga da tutti per ritrovare la ragazza che era stata fino a poco tempo prima o forse, per “trovarsi”, scoprirsi, ora, adesso, in questo preciso istante per la prima volta.
Spegnere il mondo, staccare la spina, cancellare i ricordi, lasciare fuori la vita e tuffarsi nel suo universo interiore che era immenso, grandioso, dispersivo e pieno, forse troppo, di scene che avevano segnato la sua anima ancora agonizzante.
Cicatrici mai rimarginate che si rifacevano vive con stille di lacrime e dolore.
Perché fa così la vita quando il buio ti avvolge e ti ammanta la vista, quando persino respirare diventa un gesto che bisogna ricordarsi di fare.
Si guardò intorno con aria sgomenta e impaurita, la stanza era spoglia: un letto malandato, uno specchio che aveva riflesso immagini di guerra, una vecchia scrivania che si portava dietro rumori di aerei e bombardamenti, una sedia in precario equilibrio con mattonelle traballanti.
Sorrise pensando che anche gli oggetti possono perdere il loro equilibrio, in bilico sulle loro certezze, in perenne oscillazione tra ciò che furono e ciò che sono.
Si avvicinò allo specchio e lentamente si spogliò. Portava una biancheria semplice la cui capacità seduttiva in quel momento le sfuggiva presa com’era dai suoi tanti pensieri ancora da cancellare.
Spogliarsi, lo sapeva benissimo, era anche un modo per liberarsi dal peso che si portava dietro. Mettersi a nudo in tutti i sensi, nel fisico e nell’anima.
Guardarsi cercando di “ritrovarsi” in quell’immagine che lo specchio le rimandava e in cui lei non si riconosceva più.
Si rannicchiò sul letto, abbracciò le gambe, lasciò che il volto ci si adagiasse e guardò quella piccola finestra da cui filtrava una luce scarsa per chiunque ma solo per lei eccessiva.
Si, perché quel vuoto non poteva essere rischiarato neanche da un raggio di sole.
Il buio dentro non si può illuminare, l’anima è abituata a quel torpore che è scomparsa di vita, percezione di una lenta agonia, pulsazione di un tormento senza fine.
E le tornarono alla mente le mani di quell’uomo, che conosceva fin da piccola e di cui si fidava come se fosse stato un padre. Le tornò in mente il dolore, la paura, la violenza, le minacce, il silenzio e poi… poi… la sua lenta morte.
Quella morte interiore che nessuno vede nel preciso istante in cui sai che hai smesso di vivere per sempre.
Perché ciò che è dentro non si vede, ciò che è dentro lo senti solo tu e il tuo sentire è urlo senza voce, sono grida mute.
Un pianoforte senza tasti.
E da quel giorno quell’uomo le rubò se stessa, i suoi sogni, i suoi progetti, la sua vita.
Morì allora. Lo sapeva.
Di notte si svegliava madida di sudore in preda agli incubi e talvolta il suo inconscio le proponeva la rappresentazione di una lapide con la sua data di nascita e quella di morte.
Strano essere morti e continuare a “vivere”!
Assistere come estranei ai propri gesti che sono recita di vita su di un palcoscenico da cui si vorrebbe scendere.
Non fece nessuna denuncia, si accartocciò su se stessa fino a quando decise di fuggire.
E adesso che sentiva ancora addosso il suo odore e quelle mani… adesso le lacrime cominciarono a rigarle il viso.
Dapprima fu un pianto silenzioso, discreto, piccole gocce di dolore che planarono sul letto senza far rumore.
Poi si lasciò andare ad un pianto dirotto, singhiozzi che le soffocavano in gola.
Si sdraiò sul letto ed abbracciò un cuscino, pensò che forse sarebbe stata l’unica cosa che avrebbe abbracciato da lì in poi.
Orfana di un’affettività sottratta con la forza e difficilmente recuperabile.
Pianse lacrime mai versate per la prima volta, strinse in un pugno il lenzuolo e lo accartocciò tra le mani con tutta la rabbia e la forza che aveva dentro.
Ecco.
Una prima reazione cominciava a dare segni di quella vita che voleva tornare ad essere vissuta.
Poi si alzò, con la lentezza di chi non conosce il tempo e piano, si avvicinò allo specchio.
Guardò il suo volto rigato dalle lacrime, gli occhi rossi. Quella era lei ora.
Si voltò verso la finestra, la stanza si era fatta improvvisamente più buia, c’erano nubi e tuoni, cominciò a piovere.
Sorrise e pensò che anche il cielo stava piangendo con lei.
Quante cose, quante sensazioni, quante emozioni stava vivendo in quel preciso istante. Dolore, rabbia, vendetta e voglia di ricominciare.
Luce e buio, morte e vita in un unico battito di cuore.
Doveva scriverle queste cose, pensò che doveva farlo e subito. Altrimenti sarebbero sparite come folate di vento.
Scorse sulla vecchia scrivania dei fogli di carta bianca e una penna stilografica.
Erano sempre stati lì? Non ricordò di averli visti prima ma la sua emotività fortemente compromessa forse li aveva celati alla vista.
Si sedette su quella sedia traballante, ora erano entrambe in precario equilibrio e ancora una volta, questo pensiero la fece sorridere. Da quanto tempo non sorrideva? Da quanto tempo non faceva queste assurde ma ironiche associazioni di pensieri? Non lo ricordava.
Poi, con la stessa calma di chi non conosce tempo, prese in mano la penna stilografica e cominciò a scrivere. Era tanto che non lo faceva.
Di getto riversò su quei fogli un fiume di parole, un mare di domande, di ricordi, riflessioni, pensieri. Passato e presente, così, immagini appese ad un’anima ancora da ricostruire. Quelle stesse parole che non avevano ancora avuto un suono si trasformarono in voce d’inchiostro.
Era notte quando finì…
Accese una piccola lampada e rilesse tutto ciò che aveva scritto.
Era notte quando finì ma le prime luci dell’alba le fecero leggere un’altra lei.
Fu solo allora, quando la pioggia cessò e il mattino fece capolino dalla piccola finestra, che ebbe la certezza della sua rinascita.
Perché fa così la vita a volte. Ti fa morire per permetterti di nascere nuovamente.

2 commenti:

  1. Bellissimo, stile inconfondibile :)

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  2. Questo tuo racconto, compagna di compleanno, è l'estensione di quanto i tuoi versi poetici trasmettono. Passi dalla lirica, tuo terreno abituale, alla prosa narrata, tuo terreno altrettanto agevole. I sentimenti si intrecciano in un caleidoscopio particolare e unico che offre una varietà di espressioni d'anima.
    Un sorriso con l'augurio di un sereno inizio 2013!
    ^____^

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