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martedì 29 luglio 2014

PER SEMPRE DISTANTI


Poesia ispirata alla foto di Gianpiero Di Molfetta



Sono qui, nella luce del mio buio
a ricordarmi di te,
quando mi portavi nei tuoi pensieri
e in quella tenera bugia di averci accanto.
Sfiorandomi la pelle disegnavi nuovi viaggi,
altri sapori e mille baci ancora da inventare.
Respirandoci fingevamo di non saperci feriti
da quei domani lontani
che abbiamo riposto in vuoti di memoria.
E ora sono ancora qui, nel buio della mia luce
a guardarci per sempre distanti.



domenica 13 luglio 2014

TITOLI DI CODA


Immagine presa dal web


Gli sorrise, ma di un sorriso spento, arreso, rassegnato.
Agli angoli della bocca piccole rughe a solcare dolori passati e mai dimenticati.
Sorrideva fingendo una serenità che non aveva, una normalità che non le apparteneva, una vita come tante e proprio come tante, una non vita.
Si guardarono senza parlare. Erano passati circa vent’anni dal loro ultimo incontro, dalla fine della loro storia, da quella rottura che evidentemente ebbe, con il tempo, ripercussioni diverse per entrambi. Non si cercarono più, nessuno dei due volle sapere nulla dell’altro.
Curiosi i percorsi della mente e le scorciatoie che si pensa di prendere al solo ed unico scopo di difendersi. E sempre è una difesa da noi stessi.
E ora, che si trovarono l’uno di fronte all’altra, come rimediare a quel silenzio voluto e cercato? Come fingere, come recitare, come mentire senza mandare in tilt i grovigli dell’anima, senza far riemergere emozioni insabbiate e rinnegate? Come fare ora a stare lì e gestire quel terremoto interiore che in modo diverso, entrambi stavano provando?
Fu lui a rompere il silenzio:
- Ciao Alessandra, come stai?
Quella voce, la sua voce non l’aveva mai dimenticata. Emozioni in subbuglio e nessun appiglio a cui sorreggersi.
- Bene grazie e tu?
- Tutto bene anche per me.
- Ottimo.
Quante cose mai dette, parole che aleggiavano nell’aria e che forse neanche in quell’occasione sarebbero state pronunciate. E quanto male possono fare i ricordi quando un abbandono non è stato mai verbalizzato, spiegato, chiarito. Omicidi emozionali coperti con sabbia di codardia.
- E come mai da queste parti? – chiese lei con un filo di voce.
- Non so se hai saputo ma è morta mia madre e devo mettere a posto la cappella di famiglia. Ma tu vivi ancora qui?
Non sapeva, lui, non sapeva cosa avrebbe voluto sentirsi dire.
Non sapeva, lei, non sapeva cosa sarebbe stato meglio dire, perché ogni informazione poteva essere ancora una volta motivo di fuga, o di crollo, o esplosione di rabbia o forse peggio, ci poteva essere il tentativo di un riavvicinamento per lei impensabile.
Perché imparò presto a non dare mai più una seconda occasione a chi, in uno scontro fuoco, non ti finisce solo per sbaglio.
- No, io non vivo più qui da vent’anni ma come te ho la casa di famiglia. Non torno mai in questo luogo. Almeno tento di evitarlo.
- Ti sei sposata poi?
Era una domanda che la irritò, era forse una curiosità scontata ma come osava ora, chiederle se si era sposata? Dopo che lui, lui stesso, aveva fatto crollare tutto, come un castello di sabbia con un’onda di follia considerata da tutti incomprensibile.
Fuggì senza dire nulla il giorno prima del loro matrimonio.
Un trauma che forse non aveva mai superato, una rabbia che sentiva tornare a galla per quel gesto senza un’apparente ragione. Non un biglietto, non una telefonata, non una spiegazione tramite un amico.
Gli sorrise ancora, ma di un sorriso spento, arreso, rassegnato.
- No non mi sono sposata, poi. Sai dopo una delusione come quella che tu sai è difficile ritrovare fiducia negli altri. Hai una vaga idea di cosa sia successo? Della delusione, lo sgomento, il vestito da sposa che mi fissava dall’armadio, la cerimonia annullata, il ristorante da pagare e qui, in paese tutti a commiserarmi, come quella povera ragazza lasciata sull’altare… No, non è stato facile ma sai, poi mi sono ripresa.  Direi subito. Il giorno in cui ci dovevamo sposare avevo deciso che sarebbe stato il giorno in cui la mia vita sarebbe cambiata così, ho preso un treno per Milano, ho salutato mia madre e me ne sono andata. In cerca di una nuova vita, un lavoro, nuove conoscenze.
Doveva essere un giorno da ricordare nel bene o nel male e così fu.
A Milano ho subito conosciuto nuova gente, nuovi amici, ho trovato un lavoro all’inizio come commessa in una libreria. Poi ho conosciuto un uomo molto interessante e che mi amava davvero, di un amore sincero, incondizionato.
Sono rimasta subito incinta, ho un figlio che è tutta la mia vita.
Con quest’uomo abbiamo convissuto per circa 10 anni poi, come tutte le storie, qualcosa non va o meglio, qualcosa non va più. E così, civilmente, di comune accordo ci siamo lasciati pur rimanendo sempre in ottimi rapporti. In fondo è pur sempre il padre di mio figlio e si adorano. Bello vederli insieme a chiacchierare, raccontarsi, confidarsi.
Poi io ho fatto carriera, ora dirigo una casa editrice e sono molto appagata. Ho trovato un compagno con il quale convivo da tre anni, sempre a Milano.
Mauro ascoltò tutto e senza rendersene conto si rabbuiò.
Lei continuò:
- E tu invece, cosa fai nella vita? Ambizioso come eri sarai diventato un amministratore delegato di qualche multinazionale. Ti sei sposato immagino. Hai dei figli?
Lui la guardò senza ritrovare più la donna che aveva lasciato tanti anni prima.
Non sapeva da dove cominciare, quello che gli disse lo ferì.
- Si, io mi sono sposato. Fu quello il motivo della mia fuga, mi ero innamorato di un’altra donna o almeno così pensavo. Ma Ale, io…
- Ti dispiacerebbe non chiamarmi Ale, è un diminutivo che usavamo un tempo, dà il senso di un rapporto di complicità che non ha più motivo di esistere. Chiamami Alessandra.
Silenzio. Ancora silenzio. Lui era in tilt, la sua vita rispetto a quella di Alessandra,  sembrava un disastro e l’aveva sempre immaginata come un animale che si stava ancora leccando le ferite, invece aveva subito cambiato vita. Non era da lei ma forse aveva ragione, dopo certe delusioni, si reagisce come mai penseremmo di fare.
E, alla luce dei fatti, aveva preso la decisione migliore.
- Si Alessandra. Volevo dirti anche se ormai è troppo tardi…
- Decisamente troppo tardi, ma ti ascolto.
- Ecco si, io, volevo dirti che Marta, la donna di cui credevo di essere innamorato era incinta e fu questo il motivo per cui sono fuggito.
Alessandra sbiancò ma approfittò del vento che venne in suo soccorso, per voltare il viso e sistemarsi i capelli. Sentì che una lacrima stava travalicando gli argini ma subito la ricacciò indietro.
Tornò a fissarlo.
- Ah questo fu il motivo? Beh cosa ci può essere di più bello di un figlio? Quindi hai un figlio di circa vent’anni come il mio Luca.
Mauro la guardò perplessa.
- Hai chiamato tuo figlio Luca? Era il nome che avevamo scelto per il nostro primo figlio se fosse stato un maschio.
- Si, scelta azzardata visto l’odio che provavo per te ma era il mio nome preferito ricordi? E poi era il nome di mio nonno, uno dei motivi per cui lo scegliemmo quando ancora sognavamo una vita felice insieme.
- Già, si ricordo. Sai le cose non sono andate molto bene, mia moglie dopo sette anni si è gravemente ammalata ed è morta ma prima di questo, è stato necessario fare analisi su analisi. Persino mia figlia Annalisa, accusava sintomi strani a livello neurologico. Ho passato anni d’inferno e sai che ho scoperto?
Alessandra ascoltava con finta indifferenza.
- No cosa?
- Che Annalisa, che ora soffre di una grave malattia genetica, non era mia figlia. Marta mi mise in gabbia facendomelo credere. E ora io sono solo con una figlia (perché è ovvio che per me è mia figlia) da accudire e una vita che sto cercando di recuperare senza riuscirci.
Mauro disse tutto d’un fiato, si era tolto un peso, si sentiva forse più leggero, forse senza più speranze.
- Ti assicuro Alessandra che l’unica donna che ho amato sei tu e in tutto questo tempo ho pensato a quanto ti avevo fatto soffrire. Mi dispiace.
Alessandra non sapeva più come uscire da quella situazione. Troppe informazioni assolutamente mai immaginate, notizie che avrebbero potuto cambiare il corso delle cose. Perché, perché non dire tutto a suo tempo?
Mauro continuò.
- Non nego che ho sperato che tu fossi libera e ho fantasticato mille volte di rifarmi una vita con te. Solo averti accanto mi fa star bene. Ma ho sbagliato tutto vero? E’ troppo tardi vero? Ah e non sono un amministratore delegato di un’importante multinazionale, sono solo un dipendente di una banca.
Ho rinunciato anche alla mia ambizione, alla carriera. A quante cose ho rinunciato mio Dio!
Si fermò, mani nei capelli e lacrime a solcare il volto, senza vergogna, senza filtri.
La donna lo osservò.
- Si Mauro, ogni scelta comporta una rinuncia. Ora è troppo tardi per tutto.
Mi spiace che la tua vita non ti soddisfi e mi dispiace per tua figlia.
Ma qui chiudiamo questa conversazione.
Immagino che non ci vedremo mai più. Quindi questo è un addio. Cerca di stare bene e vedrai che forse qualcosa di positivo arriverà. Te lo auguro.
Poi Alessandra si voltò e lentamente si avviò verso casa.
Ogni passo una fitta al cuore.
Piangeva anche lei per tutte le menzogne che gli aveva raccontato.
Dopo di lui non ci fu mai nessun uomo e Luca era suo figlio. La lasciò ad un giorno dal matrimonio senza sapere che lei aspettava il suo vero figlio, un figlio che crebbe da sola, in una città sconosciuta, in una Milano fredda e grigia come lo era la sua anima.
Nessun uomo né prima né ora. Era sola e si sentiva sola. L’unica verità era il suo traguardo nel lavoro, davvero dirigeva una casa editrice. Fu necessario buttarsi sul lavoro per continuare a vivere.
Ora era troppo tardi.
Perché ci sono errori a cui non si può rimediare e ferite che non si possono lenire, ci sono vite distrutte che non si possono risanare.
Una fuga per non affrontare la realtà che si poteva forse affrontare, chissà. Ma forse doveva andare così.
Un solo sbaglio con due esistenze distrutte.
Come sa essere crudele a volte la realtà!
E ora, che scorrano i titoli di coda, si disse tra sé e sé, in questo film dai protagonisti assenti e una regia singhiozzante come fu la sua vita. Senza colonna sonora, solo silenzi e parole tardive…
E allora che scorrano i titoli di coda.

venerdì 4 luglio 2014

MASCHERE DI VITA


Poesia ispirata alla foto di Marco Barchesi


Ho indossato mille maschere nella vita,
ho recitato ruoli che altri avevano scritto per me,
luci ad illuminare il palcoscenico dell’anima
e poltrone rosse di velluto ad applaudirmi,
sole, vuote, fredde.
Musica di scena e copione srotolato con abile maestria,
un camerino in cui lo specchio riflette
un’altra me, trucco e cerone sulla pelle.
Filtri illusori o illusioni filtrate.
E ora, ora che questa maschera mi osserva,
ci parlo, la sfioro e guardo occhi vuoti.
Battute dimenticate, dalla platea di velluto rosso
il brusio del silenzio mi esorta a continuare.
Scivola la maschera dal volto,
mille pezzi di me sul palcoscenico di una vita recitata.
Chiudete quel sipario ora,
non voglio più maschere da indossare,
calpesterò quei cocci
e tornerò a me.

sabato 28 giugno 2014

TUTTE LE SERE IN CUI...


Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente


Le ho contate sai?
Tutte le sere in cui la notte
ha chiuso gli occhi al cielo
e accanto a me si è addormentata.
Perché non fosse ancora il buio il mio compagno
e un pensiero senza colore il sogno.
Le ho contate sai?
Tutte le sere in cui la notte
poggiava la luna sul mio cuore
e raccoglieva stelle per illuminarmi l’anima.
Asciugava una lacrima con il vento
e mi soffiava estate sull’inverno.
E le ha contate sai?
La notte ha contato tutte le sere
in cui ho aspettato invano il tuo arrivo
o forse il tuo ritorno.
Erano tempi di panchine innevate
e freddo sulla pelle,
erano tempi di neve ad ammantar la vita.

domenica 8 giugno 2014

TI CERCO ANCORA


Poesia ispirata alla foto di Simona Forte


Ti cerco a volte nel silenzio della vita,
quando senza saperlo mi piovi pensieri e sogni,
ti cerco a volte in luoghi mai abitati
che hanno di te l’odore che saprei.
Ti cerco a volte nei giorni mai accaduti
e bacio di te gli attimi che non ho incontrato,
in quel tempo in cui abitavamo altro tempo
e altri luoghi dentro.
Così ti cerco ancora nel silenzio della vita,
quando senza saperlo mi piovi pensieri e sogni.

sabato 17 maggio 2014

QUEL NOI CHE SAREMO


Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente



Respiro e ti respiro
tra lenzuola intrecciate a sogni
e un tuo brivido a rivestir la mia pelle.
Quando nel silenzio di un luogo senza tempo
ti mordo il fiato sul mattino appena sveglio
che mai si accorgerà di questo mare
mentre onda dopo onda bacia scogli
e ruba della sabbia l’odore di salsedine.
Così,  nel silenzio parlano le mani
lungo fianchi sfiniti dal profumo audace
di un noi che saremo.
Poi,
poi tace il mio corpo caldo
al tuo fuoco.

sabato 26 aprile 2014

IL PERCORSO DEI TUOI BACI


Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente


Ho raccolto le prime luci di un mattino
per imbrogliare il buio della sera,
quando persino la luna gioca a nascondino con l’amore.
Tra le dita ho imprigionato il percorso dei tuoi baci
e ho assaporato attimi nudi
su un letto di parole srotolate senza fretta,
avvolte in lenzuola di respiri
e sguardi persi in altri mondi.
E così, quando di noi mi rimarrà la paura del silenzio
libererò in un soffio regalato al vento
 il percorso dei tuoi baci.

mercoledì 19 marzo 2014

CI SONO PADRI...


Immagine presa dal web



Ci sono padri che ci sono senza esserci.
Padri bambini che non hanno mai voluto crescere, presenze fugaci e fuggitive di chi non sa avvicinarsi ad un figlio e con lui parlare, chiedere, dare amore.
Ci sono padri che si siedono la sera attorno ad un tavolo muto perché troppe sono le parole naufragate dentro, come relitti di ciò che avrebbero voluto essere e mai sono diventati.
Ci sono padri che tentano di riempire il senso di colpa di una mancanza con il denaro e figli che cresceranno forse allo sbando, senza un punto di riferimento, senza domande da porre, senza valori da coltivare se non altre parole covate dentro.
Un vuoto che porteranno all’esterno fino a quando diventeranno altri adulti bambini in cerca di se stessi.
E poi…
E poi ci sono padri presenti, attenti, vigili… quelli che fin da quando sei piccolo giocano con te, che ridono con te, che ti prendono per mano ovunque essi vadano e tu li vedi muoversi nel mondo con garbata gentilezza, con educazione, con il sorriso sul volto, li vedi interagire con gli altri sempre con compostezza e già hai imparato, attraverso il loro esempio, valori che non avranno bisogno di insegnarti a parole.
Ci sono padri che ti dicono sempre di rispettare il prossimo ma tu lo hai già appreso
osservandoli giorno dopo giorno e amandoli, giorno dopo giorno, sempre un po’ di più.
Ci sono padri che ti aiuteranno sempre, che ti chiedono come stai, che fai, se sei felice, che ti coccolano quando sei piccolo, che ti abbracciano quando sei triste, che ti dicono ti voglio bene a sfatare quel detto che gli uomini non sanno esternare le emozioni.
Ci sono padri che ti chiamano al telefono per dirti mi manchi, che ti chiedono quale è il sogno che vorresti realizzare nella vita e poi, dopo averti ascoltato, qualunque sia il desiderio espresso, ti dicono che loro saranno al tuo fianco per supportarti nel raggiungimento di quell’obiettivo.
Padri presenti anche quando ci sono distanze a separarli dai propri figli, padri che sono un faro nella notte ed esempio di vita. Tavole imbandite di parole a raccontare quotidianità ed emozioni.
Ci sono padri speciali che ti renderanno un figlio speciale perché l’amore che hanno sempre dato sarà amore che riceveranno indietro sempre, fino all’ultimo dei loro giorni. Perché chi semina amore raccoglie amore.
Ci sono padri così e il mio è uno di loro.
Ti voglio bene papà.

Stefania


domenica 2 marzo 2014

OGGI SCRIVO DI TE


Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente


Oggi scrivo di te che sei triste
senza un’apparente ragione a far ragionare l’anima,
in quei giorni in cui la pioggia ti bagna dentro
e avresti voglia solo di calore e coccole.
Scrivo di te e di questa paura di non trovarci
se non nel fiato di mille parole 
ad appannare il vetro che ci separa.
Di quei mille viaggi guardati ma temuti
e di una stazione in cui i treni sono vento
a smuovere come foglie i tuoi pensieri.
Rimangono lì 
e tu a guardare la loro attesa con occhi lucidi
finché si chiudono le porte e riprendono il loro cammino.
Ancora vento a smuovere rimorsi 
e poi quel binario solitario
senza più arrivi né partenze, per un giorno ancora.
Rimani lì, con mani vuote di carezze
e cerchi senza saperlo, di fermare il tempo.
Un rintocco di campana e poi il silenzio
in questo giorno in cui io, ora, scrivo di te
perché non sia peso solitario quella malinconia
che ha preso il posto di mille carezze che non posso darti
e che non puoi ricevere.
Rimane quel vetro appannato
di mille parole dette e sussurrate
ad annebbiar la vita.

sabato 22 febbraio 2014

QUEL TUO ETERNO INVERNO


Poesia ispirata alla foto di Marco Barchesi
http://www.marcobarchesi.it



Di questo istante conservo il colore di parole bugiarde
a ricamare storie in bianco e nero.
Foto scattate senza luce,
nel buio che ti porti dentro e che non sai.
E annaspi nel tuo inverno
ricordando chi ti parlò
del mondo variopinto della primavera
e di un sole che mai ti ha scaldato il cuore.
Ti rimarrà solo il dubbio, forse atroce,
di aver sfiorato il profumo dell’estate
e mai saprai come sarebbe stata.
Stagioni senza te che annaspi ancora
nel freddo grigio di quel tuo eterno inverno.

sabato 8 febbraio 2014

HO CHIUSO GLI OCCHI



Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente


Ho chiuso gli occhi mille volte al cielo
e mille volte ancora li ho riaperti a te,
perché conoscessi il suono dei miei ricordi
e lo sciabordio di emozioni che non sai.
Ho chiuso gli occhi mille volte al cielo
perché mi sorprendesse a baciare quell’idea d’amore
scritta in quell’ieri che hai scordato
e vissuta nel domani che non vedrai.
E poi chiediti
perché gli amori che sfiorerai
avranno l’eco della mia voce.

giovedì 16 gennaio 2014

IL MIO FUOCO


Poesia ispirata alla foto di Gino Quattrocchi
http://photo.net/photos/MrGQ 
 


Ardo come fuoco indomabile dentro,
poi divento vulcano
a baciare lapilli che dipingono il buio.
E sono indicibili desideri
a naufragar la luna.


venerdì 27 dicembre 2013

QUANDO TI VOGLIO


Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente


Quando si muove il giorno verso sera
trovo la tua mano a spostare la luna sul mio cuore,
spegni tutte le parole
e le trasformi in viaggi sulla pelle.
Attimi nudi di veli e voci,
silenzio sfiorato da domande su labbra
che tacciono altre labbra.
E mi chiedo cosa rimarrà di me sul tuo corpo
quando continuerai a pensarmi,
tra lo sguardo e il respiro che lo ha vissuto.

giovedì 12 dicembre 2013

L'ODORE DELLA VITA



Poesia ispirata alla foto di Adolfo Valente


Ho slacciato sul letto
tutte le parole che mi hai regalato
quando affacciavi il tuo sguardo alla mia pelle.
E ho indovinato le tue mani
percorrermi sussulti e respiri su corpi accesi
a raccogliere desideri
in luoghi silenziosi di brusii segreti al mondo.
Quando il mondo siamo solo noi
che ci portiamo dentro il tempo
di quel restare insieme.
E di te respiro l’odore della vita
tra le dita.

domenica 24 novembre 2013

VIVIMI


Racconto ispirato alla foto di Marco Barchesi
http://www.marcobarchesi.it 


Quel giorno, il lago mi portò il profumo lontano di un’emozione. 
Era richiamo e attesa di ciò che ancora non conoscevo, era invito e carezza, era un brivido da sfiorare.
Fu un attimo alzarmi e seguire quella fragranza, ovunque mi avrebbe condotto sarei approdata a me… eppure sentivo che poteva essere un atterraggio verso un noi.
Mi incamminai senza sapere dove, portavo già dentro il tempo del mio restare con te, era il tempo dei sapori e delle fughe dai pensieri di non averci ancora accanto ma già vicini senza saperlo.
Avevo occhi di passaggio, ero una viaggiatrice del tempo, una turista per caso in luoghi che sentivo già miei.
Erano occhi pieni di memoria e nuovi di mete mai viste.
Fu sulla piazza del paese che mi fermai, lì quella fragranza si fece più forte, prepotente, ammaliante, conturbante, avvolgente.
Mi guardai intorno, c’era un mercatino.
Avrei potuto passare oltre ma qualcuno mi chiamò, senza voce mi esortava ad avvicinarmi a lui.
Vidi oggetti, amore espresso in creatività, ho respirato stupore e toccato ogni opera d’arte, ho comprato qualcosa per me, ho regalato qualcosa per altri e ad ogni oggetto che prendevo in mano mi arrivava un voce pronta a darmi una piccola spiegazione sul modo in cui era stato realizzato quel pezzo, sul posto in cui era stato recuperato quel materiale ormai di altri tempi ma che per sempre avrebbe fatto parte della nostra memoria.
La gente arrivava copiosa, spingeva ma io quasi non me ne accorsi.
Fu allora che ti guardai negli occhi, fu allora che mi persi in dettagli e descrizioni, poi ho smarrito il contenuto delle parole e mi sono concentrata sul suono della voce, sulla cadenza, sulla comunicazione delle mani, di quegli occhi “vivi”.
Da tempo non mi capitava di sfiorare la vera voglia di vivere dentro la gente.
Era energia che percepivo, che sentivo, che mi arrivava.
Era sole sul lago.
Poche parole, sapevo che mi stavi leggendo nei cassetti smessi del tempo, che stavi slacciando i nastri del mio cuore, i lacci della mia anima.
Fu un solo istante andare via dopo un furtivo saluto, eppure rimanere lì per sempre.
Un solo biglietto, un contatto che elargivi a tutti come futuribile venditore di oggetti intarsiati di storie e racconti e vita e emozioni e brividi.
Artigiano di rara sensibilità, osservatore attento e discreto.
Qualcuno lo buttò quel contatto al primo cestino disponibile. La gente finge e spesso lo sa fare benissimo, dipinge sorrisi sulla tristezza e colora di interesse il nulla.
Maschere abilmente composte, nascondini dell’anima e di cuori in disuso.
Io invece decisi di custodirlo con cura quel contatto per non lasciare quel filo d’aquilone che mi aveva portato a colorare il cielo in un secondo.
E il tempo passò con la sua quotidianità, il vento sfogliò le pagine di un libro che avrei scritto ma che ancora non c’era se non nella mia mente, come te e il tuo sorriso che rubai. Ladra di emozioni.
Poi la parola ci ha riuniti senza sguardi, è stata voce a cancellare quel tempo, pensieri e frasi a disegnare di noi l’immagine che avevamo e che era quel noi riflesso allo specchio di un solo grande viaggio.
Un viaggio da fare insieme, mano nella mano, per le strade del mondo, sui marciapiedi della vita, al tavolo di un bar, tra una lacrima e un bacio, su un tram vuoto preso al volo, alle prime luci dell’alba mentre va solitario ma non solo tra il nord e il sud di questo paese, a macinare distanze mentre le città diventano una sola, dietro l’ennesima curva di un perenne giro di favole nuove.
E ancora adesso ti parlo di me con le tue labbra mentre mi baci i pensieri che sanno di te, immagini che scorrono via come in un film.
Vivimi come tu solo sai fare e poi amami restando dentro un mio sguardo, dentro un sogno, scartalo con cura e veemenza e poi ancora una volta vivilo… come farei io, come faresti tu, come faremmo noi. 

lunedì 11 novembre 2013

UN VOLTO IN INVERNO


Poesia ispirata alla foto di Gino Quattrocchi



Di questo volto in inverno
ripiego gli angoli di ciglia bagnate,
stinte di vita e dolore.
Rivoli di mancanze che scivolano lente
su questo corpo arreso.
Mi raggomitolo il cuore nel buio dell’anima
mentre non hanno voce
le parole senza fiato.
Lasciatemi ancora un po’ con me stessa,
solo un minuto o forse una vita,
datemi tutto il tempo per ritrovarmi in altro tempo
un’altra me.