Quando si affacciò alla finestra dell’albergo, le si presentò uno scenario meraviglioso che la riportò indietro nel tempo.
Quella era la sua città, la città in cui era nata e cresciuta, la città dalla quale era fuggita quasi 20 anni prima. Nessuno ad aspettarla se non i ricordi.
Scostando le raffinate tende in broccato che davano un tocco di raffinatezza ed eleganza alla camera, sorrise guardando quella magica piazza ed il Pantheon che nella sua maestosa antichità sembrava ricambiare il suo sorriso, come se l’avesse riconosciuta.
Fu sui gradini di quella fontana che diede il suo primo bacio e sempre lì che disse per la prima ed ultima volta “ti amo”, fu dando le spalle a Giacomo e a quella piazza che disse addio per sempre a lui e a Roma.
Altra vita, altre mete, altri incontri.
C’è sempre un punto in cui tutto si ferma perché qualcosa di nuovo possa ricominciare.
Aveva giurato che non sarebbe più tornata ma ora doveva fare i conti con il suo passato e con una promessa lasciata in sospeso.
Richiuse le tende e si distese sul letto. Il soffitto era decorato con affreschi del XVII secolo, la sua fantasia fu rapita dalle immagini di viaggiatori di tutti i tempi che in quell’antico albergo avevano soggiornato. Nella sua mente l’antica locanda doveva avere già allora qualcosa di suggestivo e intimo, di raffinato e riservato. Si sentiva nella “storia”, protagonista indiscussa di un passato che in quel luogo più che in altri alitava nell’aria.
Ora era il suo passato a tenerla sveglia di notte, era la sua mente a giocare con ciò che aveva lasciato e che adesso voleva riprendersi, almeno qualcosa che le appartenesse e che sentisse sua.
Si ricordò di quando, appena ventenni, lei e Giacomo si fecero coniare una moneta tutta loro, in bronzo e oro con i rispettivi nomi incisi e sul retro la frase “ti amo”.
Era una rigida sera d’inverno, precisamente l’11 gennaio del 1988, quando sui gradini della fontana di fronte al Pantheon, nascosero quella moneta sotto una lastra di marmo.
Si giurarono che doveva rimanere lì, per sempre, per l’eternità come eterno era quel posto perché eterno sarebbe stato il loro amore. Solo qualora qualcosa di brutto fosse successo ad uno dei due, l’altro doveva andare a riappropriarsi di quell’oggetto simbolo della loro passione.
A quell’età erano convinti che niente e nessuno potesse dividerli, immaginavano una lunga vita insieme, piena di figli e nipotini, una serena vecchiaia.
Poi le cose andarono diversamente come spesso accade nella vita.
Alice si ritrovò a combattere con qualcosa di più grande di lei, con una fragilità emotiva che era limite e ricchezza al tempo stesso. Improvvisamente l’ansia ed una sorta di paura per tutto ciò che la circondava si impossessarono di lei.
Aveva paura e non sapeva di cosa. Aveva freddo e non sapeva perché.
Quando i suoi genitori le chiedevano cosa stava succedendo lei non sapeva rispondere.
Quando Giacomo cercava di avvicinarsi per colmare con il suo amore infinito quel vuoto, lei lo ritraeva.
Capiva che nella sua mente c’era stato come un corto circuito. Confusa e frastornata decise che la sola via d’uscita da quella morsa che le serrava il cuore, era fuggire.
Via da quei luoghi avrebbe ritrovato se stessa. E così fece.
Fu sui gradini di quella fontana che disse addio per sempre a Giacomo e a Roma.
La nuova vita in una nazione lontana le diede solo l’illusione di poter ricominciare, la distanza geografica sembrava aver allontanato paure e sentimenti.
Ogni giorno pensava a Giacomo, gli scrisse qualche lettera a cui lui non rispose.
Si convinse non senza dolore che si fosse dimenticato di lei, di sicuro lei non faceva più parte dei suoi pensieri.
Non credeva che bastasse così poco tempo per un cambiamento tanto repentino. Emozioni ritinteggiate a nuovo per voltare pagina.
Alice rimase in contatto con un’amica di entrambi, fu tramite Lisa che ogni tanto riusciva a sapere qualcosa di lui. Seppe che si sposò e che dopo 1 anno si separò, non aveva avuto figli e sembrava vivere una vita tranquilla, serena.
Divenne un po’ troppo schivo e disilluso, diffidente e solitario rispetto al ragazzo allegro ed esuberante che lei ricordava.
E ora, mentre continuava a fissare il soffitto decorato della sua stanza, ripensò alla telefonata di Lisa ricevuta in piena notte appena una settimana prima.
La voce dell’amica era strozzata dai singhiozzi. Ad Alice si fermò il cuore in gola.
Le disse che Giacomo aveva avuto un terribile incidente con la moto.
Pausa e le lancette del suo tempo pietrificate a vita.
L’amica le disse che era morto sul colpo ma quello che doveva sapere era che prima di morire teneva stretta nella sua mano la catenina che lei gli aveva regalato con il nome Alice.
Silenzio. Le lacrime cominciarono a solcare il volto della donna.
Giacomo non c’era più. Non lo avrebbe mai più rivisto, non avrebbe mai più potuto spiegargli il perché di quella partenza, non avrebbe mai più potuto dirgli che aveva continuato ad amarlo.
Ed ora, solo ora sapeva che anche lui aveva continuato a pensarla.
Facevano entrambi parte dei rispettivi pensieri.
Quanto male fa l’incomunicabilità!
Quanto tempo perso, annullato, sprecato solo per non saper esprimere ciò che si sente.
Alice attaccò il telefono ed aspettò.
Si alzò dal suo letto, tornò ad affacciarsi alla finestra.
Era l’11 gennaio 2008. Esattamente 20 anni dopo. Non fu un caso se decise di recarsi a Roma proprio in quella data e di soggiornare proprio in quell’albergo.
Aspettò le prime luci dell’alba nella speranza di vedere allontanarsi un po’ di gente.
Mise il suo lungo cappotto nero ed uscì per strada. Un vento gelido la fece rabbrividire.
Si sedette ai piedi della fontana. Con una mano cercò il punto esatto in cui avevano nascosto la loro moneta. Erano passati troppi anni eppure riuscì a ricordare, con pazienza cominciò a smuovere una pietra alla base della fontana stessa.
Quando la sentì cedere il suo cuore sembrò esploderle in petto.
Con tutta la sua forza sfilò quella pietra. Al lume del lampione non riusciva a vedere nulla, cercò freneticamente con le mani nude fino a quando qualcosa di circolare e freddo tocco le sue dita.
Lentamente estrasse quell’oggetto.
Era la loro medaglia. La prese tra le mani, la pulì dalla terra e la sporcizia, poi la sciacquò nell’acqua.
Le mani le tremavano.
Improvvisamente riapparvero i loro nomi e sul retro quella frase “ti amo”.
Si sedette sul primo gradino come se le avessero ceduto le gambe. Continuava a guardare quell’oggetto.
Sorrise e lacrime incontrollate rigarono le sue guance. Rigirò la medaglia tra le sue mani.
Ripensò al loro amore. A quella moneta che doveva rimanere lì per sempre, per l’eternità come eterno era quel posto perché eterno sarebbe stato il loro amore.
Non andò così ma adesso quel futuro tanto sognato era nelle sue mani.
Giacomo continuava a vivere dentro di lei.
Quella era la sua città, la città in cui era nata e cresciuta, la città dalla quale era fuggita quasi 20 anni prima. Nessuno ad aspettarla se non i ricordi.
Scostando le raffinate tende in broccato che davano un tocco di raffinatezza ed eleganza alla camera, sorrise guardando quella magica piazza ed il Pantheon che nella sua maestosa antichità sembrava ricambiare il suo sorriso, come se l’avesse riconosciuta.
Fu sui gradini di quella fontana che diede il suo primo bacio e sempre lì che disse per la prima ed ultima volta “ti amo”, fu dando le spalle a Giacomo e a quella piazza che disse addio per sempre a lui e a Roma.
Altra vita, altre mete, altri incontri.
C’è sempre un punto in cui tutto si ferma perché qualcosa di nuovo possa ricominciare.
Aveva giurato che non sarebbe più tornata ma ora doveva fare i conti con il suo passato e con una promessa lasciata in sospeso.
Richiuse le tende e si distese sul letto. Il soffitto era decorato con affreschi del XVII secolo, la sua fantasia fu rapita dalle immagini di viaggiatori di tutti i tempi che in quell’antico albergo avevano soggiornato. Nella sua mente l’antica locanda doveva avere già allora qualcosa di suggestivo e intimo, di raffinato e riservato. Si sentiva nella “storia”, protagonista indiscussa di un passato che in quel luogo più che in altri alitava nell’aria.
Ora era il suo passato a tenerla sveglia di notte, era la sua mente a giocare con ciò che aveva lasciato e che adesso voleva riprendersi, almeno qualcosa che le appartenesse e che sentisse sua.
Si ricordò di quando, appena ventenni, lei e Giacomo si fecero coniare una moneta tutta loro, in bronzo e oro con i rispettivi nomi incisi e sul retro la frase “ti amo”.
Era una rigida sera d’inverno, precisamente l’11 gennaio del 1988, quando sui gradini della fontana di fronte al Pantheon, nascosero quella moneta sotto una lastra di marmo.
Si giurarono che doveva rimanere lì, per sempre, per l’eternità come eterno era quel posto perché eterno sarebbe stato il loro amore. Solo qualora qualcosa di brutto fosse successo ad uno dei due, l’altro doveva andare a riappropriarsi di quell’oggetto simbolo della loro passione.
A quell’età erano convinti che niente e nessuno potesse dividerli, immaginavano una lunga vita insieme, piena di figli e nipotini, una serena vecchiaia.
Poi le cose andarono diversamente come spesso accade nella vita.
Alice si ritrovò a combattere con qualcosa di più grande di lei, con una fragilità emotiva che era limite e ricchezza al tempo stesso. Improvvisamente l’ansia ed una sorta di paura per tutto ciò che la circondava si impossessarono di lei.
Aveva paura e non sapeva di cosa. Aveva freddo e non sapeva perché.
Quando i suoi genitori le chiedevano cosa stava succedendo lei non sapeva rispondere.
Quando Giacomo cercava di avvicinarsi per colmare con il suo amore infinito quel vuoto, lei lo ritraeva.
Capiva che nella sua mente c’era stato come un corto circuito. Confusa e frastornata decise che la sola via d’uscita da quella morsa che le serrava il cuore, era fuggire.
Via da quei luoghi avrebbe ritrovato se stessa. E così fece.
Fu sui gradini di quella fontana che disse addio per sempre a Giacomo e a Roma.
La nuova vita in una nazione lontana le diede solo l’illusione di poter ricominciare, la distanza geografica sembrava aver allontanato paure e sentimenti.
Ogni giorno pensava a Giacomo, gli scrisse qualche lettera a cui lui non rispose.
Si convinse non senza dolore che si fosse dimenticato di lei, di sicuro lei non faceva più parte dei suoi pensieri.
Non credeva che bastasse così poco tempo per un cambiamento tanto repentino. Emozioni ritinteggiate a nuovo per voltare pagina.
Alice rimase in contatto con un’amica di entrambi, fu tramite Lisa che ogni tanto riusciva a sapere qualcosa di lui. Seppe che si sposò e che dopo 1 anno si separò, non aveva avuto figli e sembrava vivere una vita tranquilla, serena.
Divenne un po’ troppo schivo e disilluso, diffidente e solitario rispetto al ragazzo allegro ed esuberante che lei ricordava.
E ora, mentre continuava a fissare il soffitto decorato della sua stanza, ripensò alla telefonata di Lisa ricevuta in piena notte appena una settimana prima.
La voce dell’amica era strozzata dai singhiozzi. Ad Alice si fermò il cuore in gola.
Le disse che Giacomo aveva avuto un terribile incidente con la moto.
Pausa e le lancette del suo tempo pietrificate a vita.
L’amica le disse che era morto sul colpo ma quello che doveva sapere era che prima di morire teneva stretta nella sua mano la catenina che lei gli aveva regalato con il nome Alice.
Silenzio. Le lacrime cominciarono a solcare il volto della donna.
Giacomo non c’era più. Non lo avrebbe mai più rivisto, non avrebbe mai più potuto spiegargli il perché di quella partenza, non avrebbe mai più potuto dirgli che aveva continuato ad amarlo.
Ed ora, solo ora sapeva che anche lui aveva continuato a pensarla.
Facevano entrambi parte dei rispettivi pensieri.
Quanto male fa l’incomunicabilità!
Quanto tempo perso, annullato, sprecato solo per non saper esprimere ciò che si sente.
Alice attaccò il telefono ed aspettò.
Si alzò dal suo letto, tornò ad affacciarsi alla finestra.
Era l’11 gennaio 2008. Esattamente 20 anni dopo. Non fu un caso se decise di recarsi a Roma proprio in quella data e di soggiornare proprio in quell’albergo.
Aspettò le prime luci dell’alba nella speranza di vedere allontanarsi un po’ di gente.
Mise il suo lungo cappotto nero ed uscì per strada. Un vento gelido la fece rabbrividire.
Si sedette ai piedi della fontana. Con una mano cercò il punto esatto in cui avevano nascosto la loro moneta. Erano passati troppi anni eppure riuscì a ricordare, con pazienza cominciò a smuovere una pietra alla base della fontana stessa.
Quando la sentì cedere il suo cuore sembrò esploderle in petto.
Con tutta la sua forza sfilò quella pietra. Al lume del lampione non riusciva a vedere nulla, cercò freneticamente con le mani nude fino a quando qualcosa di circolare e freddo tocco le sue dita.
Lentamente estrasse quell’oggetto.
Era la loro medaglia. La prese tra le mani, la pulì dalla terra e la sporcizia, poi la sciacquò nell’acqua.
Le mani le tremavano.
Improvvisamente riapparvero i loro nomi e sul retro quella frase “ti amo”.
Si sedette sul primo gradino come se le avessero ceduto le gambe. Continuava a guardare quell’oggetto.
Sorrise e lacrime incontrollate rigarono le sue guance. Rigirò la medaglia tra le sue mani.
Ripensò al loro amore. A quella moneta che doveva rimanere lì per sempre, per l’eternità come eterno era quel posto perché eterno sarebbe stato il loro amore.
Non andò così ma adesso quel futuro tanto sognato era nelle sue mani.
Giacomo continuava a vivere dentro di lei.
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