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giovedì 12 gennaio 2012

UN INCONTRO INASPETTATO



Mi guardò come per salvarmi.
Non lo avevo mai visto prima. Era seduto davanti a me su un autobus vuoto che, come la città deserta che stava attraversando in un agosto afoso, rifletteva immagini di solitudini e abbandoni.
Era un uomo anziano, il suo sguardo sedotto e tormentato dai ricordi, lacerato dalla nostalgia, trafitto dal rimpianto.
Riuscivo a sentire il suo respiro affannoso e quei pensieri che galleggiavano limpidi nei suoi occhi scuri. Profonde rughe solcavano il suo viso e ferite ancor più intense si intersecavano nella sua anima.
Non potevo fare a meno di osservarlo e seguire la traiettoria confusa del suo sguardo.
Mi guardò, poi quasi con pudore si girò verso il finestrino.
Abbassai gli occhi, avrei voluto dirgli qualcosa, avrei voluto strappargli un sorriso ma sarebbe stata un’invasione della sua intimità, un’invadenza inammissibile per me.
Avevo comunque l’impressione che quegli occhi già mi avessero raccontato molto.
Ci sono giorni in cui incontri inaspettati ci lasciano dentro forti sensazioni. Era uno di quei giorni.
All’improvviso lo sentii parlare:
- Mi scusi se mi permetto ma sa, mi capita sempre più di rado poter parlare con qualcuno. Nessuno è interessato ai racconti di un povero vecchio.
Mi sorrise.
- Le dico una cosa signorina, ne faccia tesoro mi raccomando. Quando si è giovani si pensa di avere tutta la vita davanti, si pensa di poter rimandare, di appianare dopo i dissapori. Si pensa che ci sia tempo per tutto, per chiarire, per fare, per dire, per amare, per riconciliarsi.
Ma il tempo si nutre delle migliori intenzioni e fugge veloce. La vita è un lampo, se lo ricordi.
Eppure io le dico che la cosa che più di tutte mi fa male, sono le parole che non ho mai detto e che non posso più dire. Quelle parole moriranno con me.
I suoi occhi divennero lucidi, mi sentii improvvisamente investita di una responsabilità grande e allo stesso tempo cercata, voluta, desiderata.
Mi avvicinai leggermente per fargli sentire la mia voce sovrastata dal rumore dell’autobus.
- Le dica a me quelle parole. Non andranno perse così, le custodirò con cura. Le dica a me se vuole.
L’uomo mi guardò dapprima perplesso, sospettoso, diffidente poi mi sorrise di nuovo e si lasciò andare al racconto più bello e nostalgico che io abbia mai sentito.
Una pagina di vita che nessuno aveva mai letto, un libro mai sfogliato, frasi cancellate e poi riscritte, fogli strappati, bruciati, accartocciati.
Continuavo a sentire la sua voce disegnare immagini di una vita non vissuta pienamente.
-….non ho mai esternato i miei sentimenti, non ho mai detto ti amo alla donna che amavo e che ho perso, non ho mai detto ti voglio bene al mio unico figlio che ora non c’è più. Mi manca ciò che non sono stato e che avrei voluto essere. Mi manca ciò che avrei potuto avere e che non ho mai avuto il coraggio di chiedere, mi manca ciò che ho perso senza averlo mai avuto veramente.
Rimpiango le cose che non ho fatto, il coraggio che non ho avuto. L’uomo che potevo far emergere con le potenzialità che sentivo di avere dentro me e che invece ho insabbiato per timore.
E adesso che penso alla morte ogni istante della mia vita, ho paura. Si, ho paura di morire perché con me moriranno tutte le parole che non ho detto.
Arrivammo al capolinea, lui si alzò, mi diede la mano e mi sorrise.
- Grazie per avermi ascoltato. Non faccia i miei stessi errori, si ricordi quello che le ho detto.
- Le posso scrivere queste parole?
L’uomo si fermò. Il conducente era già sceso, rimanemmo soli su quell’autobus vuoto. Mi stava studiando con lucidità.
- Non ho mai saputo scrivere. Se lo farà mi renderà felice, vorrà dire che il mio messaggio di vita potrà raggiungere altre persone. Se lo farà darà un senso sia pure limitato alla mia stolta esistenza.
Lentamente si allontanò con la sua andatura incerta e il peso dei suoi pensieri.
Ci sono giorni in cui incontri inaspettati ci lasciano dentro forti sensazioni. Era uno di quei giorni.

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